Il futuro della Difesa - Aliseo intervista Roberto Cingolani
Aliseo ha intervistato Roberto Cingolani, ex Ministro della transizione ecologica e attuale Amministratore delegato di Leonardo. Tutti i temi affrontati nella videointervista hanno come punto di riferimento gli attuali scenari di crisi, dal Medio Oriente all’Ucraina, e come questi abbiano mutato la percezione dell’Italia e dei Paesi europei, oltre che delle relative industrie della Difesa, sulle sfide future.
Secondo Cingolani, infatti, «nessuno si aspettava che un piccolo Paese di pochi milioni di abitanti [l’Ucraina] potesse resistere a un’invasione massiccia come quella dell’armata russa, utilizzando delle armi non convenzionali». Tra queste i droni, capaci di distruggere macchine da guerra molto più costose e complesse, come i carri armati.
Un altro tema toccato è quello del costo dei sistemi difensivi. Secondo l’Ad di Leonardo oggi «difendersi costa più che attaccare». Lo dimostrano gli attacchi dell’“Asse della resistenza“ contro Israele, che hanno richiesto a Tel Aviv l’impiego di sistemi difensivi dal costo di decine di milioni di dollari per neutralizzare minacce molto meno costose. Una presa di consapevolezza che, secondo Cingolani, deve spingere i singoli Paesi a chiedersi se si stanno difendendo in maniera corretta, efficace e sostenibile.
Questo discorso apre le porte a quello della cooperazione tra i Paesi europei. L’altra lezione impartita dalla guerra in Ucraina riguarda infatti l’Europa, che ha provato ad aiutare Kiev, ma «la frammentazione di tecnologie, armamenti, sistemi di difesa e anche la frammentazione politica ha fatto sì che alla fine l’Europa si rivelasse inadeguata rispetto ad altri continenti». Infatti, secondo Cingolani, è evidente che «oggi la competizione è continentale e non più nazionale nell’ambito di uno stesso continente».
Per esempio, i Paesi dell’Unione europea dedicano molte risorse alla Difesa, ma il ritorno degli investimenti è molto inferiore rispetto ad altri attori che sono dei blocchi monolitici, come gli Stati Uniti o la Cina, e non divisi al loro interno come l’Ue.
Invero, nonostante apparati industriali autonomi molto forti come sono quelli di Germania, Francia e Italia, «piccoli Paesi da 60-70 milioni di abitanti non possono competere con continenti che hanno mezzo miliardo o un miliardo di abitanti», che hanno un mercato interno e capacità di investimento enormi.
Un esempio di questa inadeguatezza è il mancato raggiungimento da parte dell’Unione europea di alcuni obiettivi di produzione militare. A marzo 2023 la Commissione europea annunciava un piano da due miliardi di euro per rifornire l’Ucraina di un milione di proiettili d’artiglieria da 155 millimetri entro un anno.
Tuttavia, 12 mesi dopo, si palesava il fallimento dell’iniziativa, dato che Kiev aveva ricevuto solamente 330mila munizioni. I Paesi dell’Ue negli ultimi due anni sono comunque riusciti a risollevare la loro produzione militare, ma il risultato è ancora oggi insufficiente se paragonato alle richieste del campo di battaglia ucraino: fino a 10mila proiettili di artiglieria sparati ogni giorno.
Nella questione degli investimenti nel settore della Difesa rientra anche il tema della manodopera e della sua formazione. La forza lavoro è sempre stata un grande ostacolo a tutti i processi di riarmo e, secondo Cingolani, oggi «l’Europa non produce abbastanza cervelli Stem» per accontentare la richiesta del mondo high-tech, non solo di quello della Difesa. Problema, questo, che non devono affrontare Paesi come la Cina e l’India, dove la cultura Stem è largamente diffusa. «Se noi non abbiamo gente che sa fare, difficilmente faremo».
Di grande importanza è poi sono anche l’accesso alle materie prime e il costo dell’energia. In particolare, dal punto di vista delle risorse strategiche, il principale problema è che gran parte di queste sono controllate da Paesi che oggi sono ostili all’Occidente, come la Cina.
Secondo l’Amministratore delegato di Leonardo, l’Europa si è fatta cogliere impreparata su questo tema, dato che «abbiamo avuto una Commissione europea che ha spinto in maniera ideologica su certe cose e ora ci rendiamo conto che abbiamo distrutto intere filiere industriali».
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