L’AI sfida la scuola: Un invito alla riflessione per affrontare il cambiamento con successo

Sfida e opportunità: Incontro tra famiglie, studenti e l’AI nel percorso educativo Sono anni, oramai, che proseguo con solerzia ad insegnare questa disciplina secondo dei canoni innovativi che prevedono l’associazione del termine Informatica con quello di Umanistico. Credetemi, non passa un giorno in cui non prenda visione di compiti e metodologie d’insegnamento fuorvianti e nozionistiche. L’inevitabile conseguenza di questo scenario apocalittico risiede nel più completo smarrimento degli studenti. Non comprendono le finalità di questo studio nè i relativi contenuti. Grande è il mio sforzo per riprendere e razionalizzare le nozioni badando in modo particolare ad attivare un vitale collegamento con la realtà. La qualità della classe docente in questo ambito risulta essere scevra dalle necessarie capacità di insegnamento unitamente ad una mancanza moto diffusa in termini di passione e cuore. Ai ragazzi internet fornisce, dopo anni di guerra al nozionismo, un’infinità di informazioni slegate tra loro, ma non regala senso critico, connessione dei dati e, quindi, conoscenza. I maestri hanno il compito di sviluppare il senso critico e mettere in connessione i dati. Questi ragazzi bisogna educarli al sentimento per evitare l’analfabetismo emotivo: la base emotiva è fondamentale per distinguere tra bene e male, tra cosa è grave e cosa non lo è. E bisogna farli parlare in classe. Il linguaggio si è impoverito. Si stima che un ginnasiale, nel 1976, conoscesse 1600 parole, oggi non più di 500. Numeri che si legano alla diminuzione del pensiero, perché non si può pensare al di là delle parole che conosciamo. E la scuola è il luogo dove riattivare il pensiero Molti studenti mi dicono “non so risolvere questo esercizio“. Fin qua niente di particolare. Come prima cosa di solito chiedo di mostrarmi cosa hanno scritto e spiegarmelo a voce, cosa che non sanno fare, e devo evidenziare il grande sforzo profuso dai ragazzi quando si tratta di comunicare in lingua Italiana. Ecco perchè la mia Informatica Umanistica è una disciplina, contro le attese , molto “parlata“ Uno dei più grandi informatici di sempre, l’olandese Edsger Dijkstra, sosteneva che la computer science, cioè l’informatica, non tratta in realtà di computer più di quanto lo studio dell’astronomia non tratti di telescopi. Certo, il computer serve, anche perché la definizione minima di informatica, cioè la scienza che si occupa della elaborazione automatica delle informazioni, prevede che la parte automatica sia eseguita in concreto da un elaboratore elettronico. 𝐌𝐚 𝐜’𝐞̀ 𝐨𝐯𝐯𝐢𝐚𝐦𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐦𝐨𝐥𝐭𝐨 𝐝𝐢 𝐩𝐢𝐮̀: 𝐈𝐥 𝐩𝐞𝐧𝐬𝐢𝐞𝐫𝐨 𝐜𝐨𝐦𝐩𝐮𝐭𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐚𝐥𝐞, 𝐮𝐧𝐚 𝐜𝐨𝐦𝐩𝐞𝐭𝐞𝐧𝐳𝐚 𝐭𝐫𝐚𝐬𝐯𝐞𝐫𝐬𝐚𝐥𝐞 𝐭𝐫𝐚 𝐥𝐞 𝐩𝐢𝐮̀ 𝐢𝐦𝐩𝐨𝐫𝐭𝐚𝐧𝐭𝐢. Il pensiero computazionale è il processo mentale che consente di risolvere problemi di vario tipo, seguendo metodi e strumenti specifici; è, in altre parole, la capacità di risolvere un problema pianificando una strategia. Si tratta quindi di un processo logico-creativo che permette di pianificare una procedura tramite la quale sia possibile raggiungere un risultato o un obiettivo ed è un’abilità trasversale che va sviluppata, stimolata e allenata sin da piccoli. Il pensiero computazionale merita di essere coltivato e applicato in modo interdisciplinare perché costituisce una sorta di fertilizzante che prepara il terreno sia per l’uso consapevole della tecnologia sia per comprendere gli aspetti logici e la struttura profonda delle attività che si svolgono. Il pensiero computazionale non ha bisogno della tecnologia, viene prima della tecnologia: è un’abilità trasversale, un processo di problem solving utile in qualunque contesto. Il pensiero computazionale attiene al mondo delle idee e delle strategie, è per tutti, in ogni luogo: può essere applicato a qualunque situazione ed essere appannaggio non solo degli informatici. Sono anni, oramai, che proseguo con solerzia ad insegnare questa disciplina secondo dei canoni innovativi che prevedono l’associazione del termine Informatica con quello di Umanistico.
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