“Io sono cimbro, io parlo cimbro“. Le ultime persone parlanti cimbro in Lessinia
Per una cultura che inesorabilmente si spegne con gli ultimi parlanti l’antico idioma cimbro, arriva una possibilità in più di sopravvivenza almeno come testimonianza grazie al docufilm del regista veronese Mauro Vittorio Quattrina «I pi Tzimbar, I rede tauc’» (Io sono Cimbro e parlo cimbro). Ideato, scritto e diretto da Quattrina, il docufilm è prodotto dallo studio Il Volo dello stesso regista, che ha lavorato in équipe con Giuseppe De Berti, direttore della fotografia e con lo scenografo Angiolino Bellé. Si avvale della consulenza storica e scientifica di Stefano Valdegamberi e di Antonia Stringher, entrambi studiosi del cimbro parlato e delle tradizioni dell’altopiano, nonché della sua toponomastica e condensa in 60 minuti storia e tradizione dei boscaioli giunti dalla Baviera e dal Tirolo, con testimonianze dirette degli ultimi parlanti cimbro di Giazza, come madrelingua. «Il cimbro non è un reperto archeologico», ha sottolineato Ciambetti, «ma una testimonianza vivente e un esempio su cui meditare. È un tema formidabile nell’Europa dove il 37,5 per cento della popolazione dell’Unione vive in zone di confine: il cimbro è una testimonianza di una controstoria popolare, che ci dice come la vera Europa non è quella di banchieri e governanti, di teste coronate e di élite oligarchiche, ma di persone, di affetti e sentimenti, di paure e dolore, di fede e speranze». «È l’Europa delle genti, di regioni e popoli, ciascuno con la sua lingua, le sue tradizioni e la sua cultura che danno vita a un magico quanto armonioso mosaico di rara bellezza e di straordinaria forza».
Valdegamberi, che compare anche nel documentario, ha ricordato la funzione fondamentale della popolazione cimbra nei secoli a difesa dei confini della Serenissima, «popolazione cresciuta in Veneto in seguito a una migrazione dalla Baviera che possiamo leggere anche come progetto imprenditoriale degli Scaligeri per garantirsi produzioni di legno, lana e ghiaccio. Un popolo quindi non isolato come si è creduto, ma molto legato all’economia della città e che tuttavia ha conservato con caparbietà lingua e tradizioni, almeno fino alla Controriforma, quando il pericolo del protestantesimo ha costretto ad allentare i legami con la patria d’origine. C’era bisogno di questo docufilm per immortalare la lingua degli ultimi madrelingua e fornire un’immagine reale di chi sono veramente».
Il regista Quattrina ha parlato di «un tuffo in una realtà che conoscevo solo superficialmente e la lavorazione del film mi ha permesso di entrare nella magia di un mondo che non c’è più, non di un’altra lingua ma di una lingua altra, di una cultura che si sviluppa in luoghi anche paesaggisticamente straordinari». Massalongo ha centrato sulla libertà la caratteristica della cultura cimbra: «C’erano proprietà collettive, contrade che crescevano attorno al nucleo dei fondatori, ma non c’erano schiavi di un latifondo bensì piccoli proprietari liberi e non a caso le prime scuole sono nate proprio in montagna. Oggi chiediamo di fare di più perché questa terra non sia abbandonata, ma resti luogo prezioso, patria di lingua, cultura e religiosità» da L’Arena 2020.
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