Inquisizione (1955)

Inquisizione è il titolo di un lavoro teatrale scritto nel 1946 dal drammaturgo italiano Diego Fabbri (Forlì, 2 luglio 1911 -- Riccione, 14 agosto 1980), che nel 1950 venne rappresentato con successo a Milano e che l’autore portò alla ribalta anche a Parigi, dove si trasferì nel 1952 per un breve periodo di tempo. Venne mandato in onda dalla RAI l’otto luglio del 1955 sul programma Nazionale quando ancora le trasmissioni non erano irradiate in tutta l’Italia, con la riduzione televisiva di Saverio Vertone, scene di Bruno Salerno e regia di Daniela D’Anza. Dai dati in mio possesso, ritengo che sia stata la prima apparizione sul piccolo schermo dell’attore siciliano Salvo Randone (nato a Siracusa il 25 settembre 1906, studiò recitazione alla Filodrammatica del Circolo Artistico di Catania, morì a Roma il 6 marzo 1991). La sua lunga carriera durata oltre cinquant’anni, sia in campo cinematografico e televisivo che sul palcoscenico come interprete profondo e professionalmente rigoroso del teatro classico greco e di quello pirandelliano, stemperando la calda passionalità mediterranea con la razionalità dell’uomo di cultura, è costellata di successi, premi e riconoscimenti. Della sua arte recitativa resta l’abilità nel rendere le ambigue sfaccettature psicologiche o l’inquietante tormento dei personaggi interpretati, testimonianza di un’acuta intelligenza d’attore risolta tanto nella secchezza del gesto e del tratto mimico, quanto nell’espressività di un volto tagliato come una maschera antica, ma dove lampeggiava il segno tutto moderno, ’pirandelliano’, della condizione umana. Personaggi e interpreti: L’abbate: Salvo Randone Renato: Vittorio Sanipoli Angela, sua moglie: Elena Zareschi Don Sergio: Giancarlo Sbragia Trama: In Inquisizione Diego Fabbri riduce i personaggi a quattro e così l’autore giunge ad un maggiore approfondimento psicologico di ciascuno. Nel santuario che li accoglie, Renato, Angela e don Sergio dibattono le ragioni della loro crisi e dei loro tormenti. Renato si sente destinato ad ideali diversi da quelli del matrimonio: guarda alle vette di una solitudine che è insieme scontrosa e mistica, ed è per questo che i rapporti con la moglie sono presto approdati all’ostilità, al rancore e all’odio. Angela, la moglie, è invece una creatura tutta terrena, febbrile, violenta, sensuale. Ora che sta per essere abbandonata dal marito si ribella, con furore: in un crescendo che la porta a confondere amore ed odio, la donna protesta anche contro quel Dio in cui non crede; tentò di suicidarsi e di avvelenare Renato, e deve confessarlo: “non può più vivere con questo segreto addosso“. Don Sergio è la terza presenza inquieta di questo strano rendez-vous; in procinto di lasciare il suo ministero ora che s’è accorto d’aver sbagliato strada, egli è diviso fra il dovere di “tener fede alla promessa fatta“ e quello di non tradire la propria natura. Ma chiudono il dramma le parole dell’abate, che ha osservato i tre con severa e dolce mestizia: “Io vi guardavo e mi siete sembrata l’intera umanità“. Bisogna accettare e amare, sapere che la soluzione di ogni umano dissidio è in Cristo e che “nessuna compagnia in fondo ci soddisfa“. Dio inquietat Dio aiuta: è questa la verità che, trasmessa dalle parole dell’abate, fa da suggello a Inquisizione.
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